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LA MARATONA come trasformo un giorno no in vittoria!


Mio marito ed io siamo arrivati a Ravenna venerdì pomeriggio, ci siamo fermati al cimitero che ospita le tombe di alcuni dei combattenti della Brigata Ebraica, per noi sarebbe impossibile fare qualunque cosa prescindendo dalla consapevolezza di dove veniamo e di quale sia il nostro modo d'intendere il mondo. Il sostegno ad Israele, che proprio in questi giorni è di nuovo sotto attacco missilistico, la lotta al terrorismo ed al nazi-fascismo, comunque declinato, è parte di noi, anche della nostra corsa. Sono entrata nello Shabbat serena e concentrata, sentivo di avere fatto tutto ciò che potevo per essere al meglio per la maratona ora dovevo semplicemente attendere di poterla correre perché il risultato emergesse. Nel tardo pomeriggio di sabato ho partecipato ad un convegno organizzato dalla rivista Correre in relazione al progetto che vedeva nella maratona la propria conclusione. Si è trattato di un progetto di un anno al quale nei miei post accenno perché ritengo corretto che sia seguito sulla rivista ed anche perché non coinvolge soltanto me e qui ho scelto di parlare soltanto di quello che riguarda me. La partecipazione al convegno è stata per me particolarmente faticosa, non in sé ma in funzione del fatto che il giorno dopo mi attendeva la maratona e l'impatto emotivo che il contenuto e gli incontri del convegno hanno avuto su di me hanno prodotto l'effetto di togliermi energia, deconcentrarmi. Quello che ho compreso in questi mesi è che se lavori ad un obbiettivo che presuppone l'utilizzo ponderato e preciso di tutte le tue risorse fisiche e mentali non puoi lasciarti distrarre da altro. Ovvero la vita accade e nei mesi di allenamento è accaduto di tutto, ma ad un certo punto è necessario preservarsi, diventa indispensabile stare in sé, circondarsi di persone che rispettano i tuoi stati d'animo che sostengono la tua riuscita, che ti colmano di fiducia, persone che non ti giudicano, che sanno esserci, vicine o lontane fisicamente, hanno un pezzo d'anima che ti sostiene ed è con te incondizionatamente. La notte precedente la maratona non riuscivo a prendere sonno, qualcosa nel convegno mi ha insinuato dubbi sulla mia capacità di raggiungere l'obbiettivo che mi ero prefissa, per cui mi ero allenata, ottenere il tempo necessario per la qualificazione per la maratona di Boston. C'è voluta la forza di mio marito che, svegliato in piena notte dalla mia agitazione, mi ha messo di fronte al fatto che stava soltanto a me non permettere che qualcuno insinuasse in me il dubbio, la paura... Mi sono addormentata dopo le 2:30, alle 6:15 è suonata la sveglia, non ero per nulla riposata. Doccia fredda e recupero del controllo. Colazione e musica tranquilla per calmare il battito. Non so se sia così per tutti ma io avevo paura di non farcela, della fatica, della stanchezza, di non essere in grado di correre... in occasione della prima maratona ero emozionata, non sapevo se sarei riuscita ad arrivare in fondo ma non avevo aspettative di tempo, ero in Israele, a casa, francamente non avevo idea di cosa significasse davvero fare 42.159 metri di corsa, ma neppure di camminata... Questa volta invece avevo il ricordo del dolore provato, il desiderio di farla in un tempo preciso, il fatto di avere finalizzato alla maratona ogni singolo giorno e luogo di ferie, di avere rotto le scatole al mondo parlandone in continuazione, insomma un'ansia pazzesca! Grazie alla grande capacità organizzativa di mio marito eravamo ad una distanza perfetta da partenza ed arrivo quindi siamo potuti uscire all'ultimo istante dopo tutte le opportune visite al bagno che chiunque corre sa non essere mai abbastanza prima di qualunque gara. Ci siamo portati in griglia, ero tesa come una corda di violino, forse un po' di più, la sensazione di estraneità ed il desiderio di fuga, che quasi sempre mi prendono in occasione di qualunque competizione affollata, erano al massimo. Il fatto che l'organizzazione prevedesse che maratona, mezza e 10k partissero insieme ha subito fatto aumentare il mio senso di fastidio, le ansie nate nella serata precedente sempre più grandi...volevo scappare via, correre i miei 42195 metri esattamente nella direzione opposta da dove si trovava la gara. Finalmente si parte, lentissimi a causa della folla, la strada curva subito e poi si gironzola per le vie della città con continue curve e strettoie. Per me i primi chilometri sono sempre molto lenti e faticosi ma il percorso che necessariamente prevedeva continui cambi di ritmo e rischi di calci ed urti ha fatto crescere la fatica oltre misura. Per fare il tempo avrei avuto bisogno di poter correre in maniera più fluida ad una velocità costante sicuramente al di sopra di quella cui mi sono ritrovata a correre i primi 10 chilometri, per non parlare della scarsità di acqua. Mio marito si è accorto e sostanzialmente ha cominciato a farsi largo chiamandomi all'inseguimento, ciò nonostante non riuscivamo ad aprirci spazi adeguati a fare andare le gambe, ad un certo punto l'idea che davvero avrei dovuto correre più piano si è insinuata in me... Dico a mio marito - Vai io non ce la faccio Mi risponde - Ti fa male qualcosa? Non hai digerito? - No, le gambe non girano - Smettila e corri! - Non sopporto la gente e questo percorso senza senso - Devi avere pazienza fino al ventesimo poi il percorso si divide e ci sarà meno gente Il tipico scambio di battute tra me e mio marito che ha contraddistinto quasi tutte le gare fatte, tranne la maratona di Tel Aviv, ed anche qualche allenamento. Non so come faccia a sopportarmi, sta di fatto che ho tenuto duro e lui ha tenuto il ritmo necessario per non perdere del tutto le speranze di qualificazione per me. Finalmente al diciannovesimo quelli della mezza sono tornati verso il centro città. Gli spazi si sono fatti più vivibili ed io ho iniziato a sentire girare le gambe. Via via che procedevo il respiro si faceva più lungo e regolare, le gambe più leggere e la velocità aumentava. In quel momento per me è iniziata la maratona, sono entrata in modalità meditativa e concentrata. Ho smesso di sentire la fatica ed ho corso. Mio marito ovviamente se n'è accorto, ha visto che c'ero e mi ha lasciato andare. Ho proceduto con una crescente sensazione di benessere ed equilibrio, la disciplina cui avevo costretto il mio corpo nel corso degli allenamenti a digiuno stava dando i suoi frutti, ad ogni punto acqua mi fermavo prendevo una o due bustine di miele, bevevo mezzo litro d'acqua e ripartivo, il ritmo sempre preciso e perfino leggermente crescente. Ho superato il trentesimo chilometro poco sopra le 2 ore e 40, il tempo per Boston era possibile e la sensazione di benessere, nonostante lo sforzo, permaneva. Da quel momento ho iniziato a ragionare per frazioni di tempo e spazio, mi sono imposta di non rallentare. Le gambe andavano, il cuore c'era, il respiro anche. La mente in un continuo dondolio tra fuori e dentro, attenzione alla strada, ai chilometri, al tempo e verifica interna: i piedi, le ginocchia, il polpaccio, le anche, l'addome, la schiena, le braccia, il collo. In rassegna a richiamare la posizione più corretta, cercare di mantenere la spinta forte ma rilassata, cambiare il passo quando il dito centrale del piede sinistro annuncia il possibile arrivo di un crampo, allora aumentare la rullata del piede accorciare ed allungare il passo senza perdere la velocità per richiamare la spinta di altri distretti, raccogliere le energie per allungare la schiena, tenendo gli addominali con l'immagine del filo d'oro che tira la spina dorsale e nello stesso tempo dall'ombelico così che le anche dirigano il movimento e le gambe abbiano possibilità di riposare nella rotondità del gesto. Le persone che superavo hanno cominciato ad incoraggiarmi "Brava, stai andando benissimo", "Che freschezza, vai non fermarti", "Complimenti...come fai a tenere quel ritmo?" Correvo tesa verso il mio obbiettivo, al trentanovesimo ho sentito la fatica ma non ho ceduto neppure di una virgola, i due chilometri successivi mi sono sembrati più lunghi di tutti quelli fatti fino a quel momento ma ho comunque accelerato, poco ma volevo essere certa di arrivare almeno qualche minuto sotto il tempo minimo per Boston e quindi non potevo mollare, anzi dovevo spingere il più possibile. Entrata nella via dell'arrivo ho dato tutto quello che potevo, non sentivo più null'altro che la tensione assoluta verso il traguardo, verso la conferma di essere riuscita a stare nel tempo per Boston, essere riuscita in un anno di allenamenti a ridurre il mio tempo della maratona di oltre un'ora, di avere trovato dentro di me, attorno a me la forza per andare, senza risparmiare nulla, senza paura. Ho tagliato il traguardo due minuti sotto il tempo 3:48 ho sollevato le braccia al cielo 

 e mi sono sentita forte più che mai, viva più che mai, felice come mai avrei pensato di poter essere. Oltre il traguardo di questa maratona ho trovato me! Ho conosciuto la mia forza, determinazione, costanza, ho riconosciuto il mio genio, le mie ragioni, la mia cocciutaggine a fare quello che voglio. Oltre il traguardo ho vinto ed ho sentito tutta l'energia delle persone che mi hanno aiutata e sopportata e supportata in questi mesi. Non eravate lì fisicamente ma sono certa che ognuno ed ognuna di voi avete reso possibile la mia resistenza, la mia forza. Fino a pochi anni fa non avrei mai pensato di correre una maratona, corsa la prima non avrei mai pensato dopo un anno di allenamento, a 45 anni di poter fare un tempo del genere ma ho capito che se ho uno scopo, se mi concedo di dare tutto ciò che posso, se ascolto me stessa prima di chiunque altro, se do maggior peso a chi crede in me piuttosto che a chi non crede in me, se faccio di testa mia rischio di vincere ed è bellissimo!!! 

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