la cavia
- arielshimonaedith
- 9 apr 2021
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La consapevolezza si era generata guardando crescere le piante nel vasto giardino che circondava l’edificio ora alle sue spalle. Osservando gli uccelli, gli scoiattoli, gli insetti. Aveva l’età di cinque cicli, così gli avevano insegnato a contare il tempo della vita.
Le parole scritte dal Dottor M poco prima gli avevano consegnato una descrizione sommaria di ciò che avrebbe trovato fuori. Ma forse non era necessario sapere, i piedi nudi sulla terra sarebbero stati la prima guida, il naso e la bocca liberi da ogni copertura stavano insegnando al suo corpo, istintivamente la direzione da seguire. L’altissima recinzione aveva escluso, fino a quel momento, la possibilità d’ingresso per moltissimi degli animali che abitavano i boschi circostanti, così come premetteva soltanto al personale dell’Istituto di entrare ed uscire. Anton non era l’unico ad essere sempre vissuto lì dentro, c’erano Sophia, Calliope ed Erebo che però raramente incontrava perché usciva dalla sua stanza soltanto di notte. Il primo a togliersi la maschera durante le esplorazioni solitarie del giardino era stato lui, gli altri non capivano per quale motivo avrebbero dovuto fare diversamente da come avevano sempre fatto, da come era stato detto loro di fare. Nessuno conservava memoria di un tempo fuori, di un tempo senza maschera, di un tempo in cui il respiro non fosse stato corto, neppure sapevano di avere il respiro corto. Il nutrimento veniva immesso attraverso un accesso diretto al corpo, non sapevano che la bocca serviva per mangiare. Fin da che avevano memoria erano stati vestiti con tute bianche, aderenti, cambiate ogni giorno dopo l’immersione nelle vasche di deprivazione sensoriale; lì al buio venivano tolte loro le maschere e successivamente all’immersione venivano cosparsi di una sostanza che impediva alla pelle di staccarsi. Anton aveva impiegato un intero ciclo per capire tutto questo. Sapevano parlare, leggere, contare. Ognuno di loro riceveva ogni giorno, da che ricordava, informazioni attraverso video e scritti proiettati mentre compivano le azioni che venivano loro richieste. Ogni ciclo prevedeva che determinate sostanze venissero immesse attraverso l’accesso dal quel ricevevano l’alimentazione, i Dottori prelevavano dai loro corpi liquidi e parametri, poi domande continue per registrare tutte le sensazioni. Avevano dato loro precise indicazioni di com’era fatto il corpo umano così che potessero descrivere in maniera chiara e comprensibile ogni minima percezione. C’erano state fasi molto dolorose, periodi lunghissimi nei quali non era riuscito neppure ad uscire dalla sua stanza. La luce lo faceva soffrire, il silenzio, il buio...la pelle si era staccata perché l'unguento che usavano sotto la maschera e la tuta era diverso. Per un tempo, che non era in grado di descrivere, era stato in piedi, senza potersi muovere mentre i suoi liquidi attraversavano i tubi che sembravano uscire dal suo corpo. Caldo, freddo, caldo, freddo, poi la stanza buia riempita di un liquido pesante. I momenti migliori erano quelli in cui parlava con il Dottor M. Un legame speciale li univa, sapeva che stando attento e ricettivo lo avrebbe soddisfatto, e nulla per lui era importante come rendersi utile al Dottor M. Quando ebbe compiuto il quarto ciclo era stato deciso che il quintino sarebbe servito per analizzare come avrebbe reagito all’esterno. La maschera, la tuta, i calzari spessi, lo avrebbero protetto dalla contaminazione, poteva vedere, camminare, entro le mura; non avevano previsto che avrebbe potuto sentire i rumori, molto attenuati ma lo avevano raggiunto. Incontrò così i canti degli uccelli ed il frinire dei grilli, il rumore dei passi delle lucertole tra le foglie, il ronzio delle api. Anton conobbe anche i colori, la luce del sole, sentì nascere il desiderio di toccare. La forza della terra giunse ai suoi piedi nonostante le suole spesse di un materiale che avrebbe dovuto escludere qualunque percezione. Le uscite erano rare, le attendeva con impazienza, i ricercatori si resero conto, rilevando i parametri, che stava accadendo qualcosa, ma erano talmente concentrati sul loro studio da essere certi non fosse possibile che Anton desiderasse. Tutto il lavoro fatto su di lui era stato finalizzato ad impedire il nascere di esigenza e volontà, fatta eccezione per alcune pulsioni sessuali che erano state sottoposte a verifica e gestite con le sostanze opportune. Anton non aveva mai conosciuto il contatto con il corpo che lo aveva generato, né con altri corpi, non aveva sentito odori né sapori, non aveva mai visto il viso del Dottor M né tanto meno del resto del personale, non poteva neppure intuire la forma dei loro corpi. Vedeva le altre cavie ma erano, come lui, completamente avvolte nelle tute e la maschera impediva di riconoscere i visi, lui stesso non aveva mai avuto accesso ad uno specchio né poteva toccare la propria pelle. Tutto era stato studiato perché semplicemente le cavie rispondessero agli esperimenti necessari per i farmaci e per i test mentali da imporre poi al resto della popolazione. I cicli, imposti dalla normativa di legge per verificare le sostanze che dovevano essere somministrate contemporaneamente al nutrimento sintetico e ad altri farmaci, avevano una durata di tre anni. Questo serviva per l’approvazione degli organismi di controllo e per la verifica delle sostanze più opportune per ogni fascia di età. Purtroppo i gruppi di cavie non sopravvivevano mai abbastanza a lungo per la verifica ad un età superiori ai dieci cicli, per questo il Dottor M aveva deciso di anticipare al quinto ciclo l’immissione graduale all’esterno delle cavie, era necessario capire come impedire ai ribelli, quelli che scappavano e non si lasciavano somministrare i farmaci, di sopravvivere oltre l’età media della popolazione sanificata. Anton, era la cavia migliore, la più resistente; era obbediente ma capace di riportare impressioni così precise da permettere loro di adeguare i trattamenti così che fossero più idonei alla sottomissione, necessaria per mantenere ordine, pulizia ed igiene. I ricercatori erano certi non fosse fondamentale vigilare mentre Anton stava all’esterno, non tanto perché il muro fosse invalicabile, quanto perché, le osservazioni fatte nel corso di molti anni su molti gruppi indicavano che, nessuno aveva mai agito al di fuori delle indicazioni prescritte dal proprio referente. Un pomeriggio l’urlo di un aquila richiamò lo sguardo di Anton verso il cielo: era alta sopra di lui ma per la prima volta poteva vedere il disegno del piumaggio, avvertì nelle viscere un legame con il roteare potente dell’animale, si tolse la pesante maschera, respirò - per la prima volta. Nel petto sentì dispiegarsi le ali dell’animale che lo sovrastava: i polmoni. Tossiva, rideva, piangeva, il diaframma sbloccato: finalmente. Inarcò la schiena ad accogliere un’oscillazione che lo fece cadere a terra. Sdraiato, i fili d’erba solleticano il collo e le orecchie, un’operosità minuta catturata dall’attento udito. Gli odori sconosciuti della terra, delle piante, dei fiori. Conobbe la vita e ne fu travolto. Quando dalla maschera, scivolata accanto a lui giunse la voce che gli diceva di rientrare, comprese. Indossata la maschera, si avviò fino alla strada di sassi bianchi che conduceva all’ingresso dell’edificio. Venne sottoposto ai soliti controlli, rispose alle domande: aveva immaginato tutto. Era accaduto che una sostanza avesse indotto in lui immagini e sensazioni, probabilmente si trattava di questo. Il Dottor M constatò un miglioramento nelle condizioni generali di Anton, così decise di farlo uscire più spesso per vedere cosa sarebbe accaduto. Trascorsero diversi giorni prima che Anton si trovasse ancora senza maschera, questa volta furono i pochi raggi di sole che penetravano ad indurlo di nuovo, in maniera quasi inconsapevole a togliersela. Fu poi il desiderio di toccare ciò che lo circondava, di cui aveva imparato l’odore a fargli estrarre le mani dai guanti. Finché si ritrovò con i piedi nudi e fu doloroso ma, l’educazione a riconoscere la sofferenza indotto dai trattamenti cui veniva da sempre sottoposto, lo indussero a restare e dopo la pena sentì che dalla terra, attraverso le piante dei piedi, fluiva un’energia intensa capace di riempire il corpo. Tutto in lui fluiva inarrestabile. Dopo questa esperienza chiese al Dottor M per quale motivo non li lasciavano senza maschera e senza tuta. “Perché il corpo non può sopravvivere senza le protezioni, ci sono virus ovunque, particolarmente all’esterno dove vivono animali e piante, vi ammalereste e morireste.” Anton capì che tutto ciò che aveva conosciuto era falso, capì che non poteva fidarsi neppure del Dottor M, capì che aveva bisogno di uscire e stare senza maschera, senza tuta: seppe di dover tacere. I risultati su di lui erano talmente interessanti che decisero di fare uscire anche Sophia e Calliope, prima una per volta poi tutti assieme. Quando accadde, Anton si allontanò, voleva togliersi la maschera e i guanti e i calzari. S’era incantato a guardare uno scoiattolo su un albero: collegare esseri viventi alla spiegazioni ed alle immagini che gli erano state mostrate, era avvincente. Un rumore di passi pesante lo distrasse, Sophia e Calliope erano immobili davanti a lui. “Chi sei?” “Anton” Gli occhi spalancati sotto la maschera. “Toglietevi la maschera è bellissimo” “Non possiamo. Ci hanno spiegato che i virus ci ucciderebbero.” “Io non sto morendo” “Non puoi saperlo, solo loro lo sanno” Nessuna delle due disse nulla durante i soliti interrogatori di verifica. Si ritrovarono di nuovo fuori insieme, di nuovo Anton si allontanò e continuò a sperimentare tutto ciò che poteva con ogni senso. Le rilevazioni misero in luce che le condizioni fisiche di Anton erano migliorate mentre quelle di Sophia e Calliope non erano variate. Pensarono che fosse una questione di tempo ma quando videro che non accadeva credettero fosse una conseguenza della differenza di genere così fecero uscire anche Erebo, ma di sera e di notte. Anton lasciò dei messaggi per Erebo, nella speranza che anche lui decidesse di togliere la maschera e poi i guanti ed i calzari. Erebo non rispose, prese i messaggi di Anton e li portò al suo ricercatore. Il Dottor M lo interrogò mostrandogli i messaggi, Anton decise di non rispondere. Tutti i ricercatori si riunirono per valutare il caso di Anton. I dati indicavano che non era possibile che Anton avesse disobbedito, i parametri fisici erano migliorati e questo era incompatibile con l’esposizione alla natura, nessuna cavia era sopravvissuta senza maschera, senza guanti, senza calzari fuori dal edificio sterile. Da generazioni nessun essere umano usciva nella natura senza maschera. Tutti i colloqui intercorsi tra Anton ed il Dottor M furono revisionati: non c’era nessuna indicazione che la cavia potesse sopravvivere all’esterno né che conoscesse l’impulso alla libertà. Decisero che potevano evitare la soppressione di Anton, la ricerca doveva proseguire. Nessuno aveva considerato fosse necessario modificare gli accessi ai laboratori, alle stanze, al giardino: le cavie erano obbedienti e mansuete, come sempre. Il tempo del quinto ciclo stava per terminare, presto sarebbero cambiate le sostanze da sperimentare. Tra un ciclo e l’altro c’era un momento in cui venivano portate fuori le sostanze sperimentate e venivano portate dentro quelle da sperimentare. Anton aveva deciso: avrebbe programmato l’apertura di tutte le finestre, le porte, i lucernari che davano all’esterno. Avrebbe quindi bloccato l’accesso alla sala computer che regolava tutto, prima di entrare per la seduta di verifica della fine del ciclo con il Dottor M. “Questo ciclo ti ha rinforzato, abbiamo già dato indicazioni molto positive sulle sostanze che ti sono state somministrate, hai altre osservazioni da fare?” Anton fa scivolare un foglio davanti al suo interlocutore. “Può scrivere su questo foglio il mio nome completo e che cosa troverò una volta che sarò uscito di qui?” “Cosa intendi dire?” Il ricercatore osserva i parametri e non vede alcuna variazione ma un’espressione nuova accende gli occhi di Anton. “Tu non uscirai mai di qui.” “Uscirò di qui tra quindici minuti. Desidero che scriva quello che le ho chiesto.” Il Dottor M estrae dalla tasca una biro ed inizia a scrivere, non prova neppure ad alzarsi, ad uscire dallo studio, avvisare i colleghi...Anton si è tolto la maschera, si sta togliendo i guanti, sfilando i calzari. Il ricercatore ha paura, diversamente da Anton, lui conosce questo sentimento ci è cresciuto dentro. Aggrappato ai suoi studi, alla dogmatica adesione al regime, alla volontà di non vedere la devastazione impressa alla specie umana, ormai prossima all’estinzione. Le misure adottate per combattere i virus, cui lui ha sempre collaborato sacrificando moltissime cavie umane, gli hanno dato la sensazione di non avere paura. Prima di vedere il viso di Anton, le sue mani forti, nonostante tutti gli esperimenti sopportati, era convinto di essere lui ad indurre la paura. “Cosa è successo?” “Ho respirato. Ho conosciuto la terra. Ho imparato che posso vivere, diversamente da quello che mi avete insegnato.” “Ti ammalerai, morirai, se non prendi i farmaci.” “Preferisco morire libero che vivere da cavia. Scriva!” Un lieve sibilo annuncia l’apertura delle finestre, il sistema di areazione che disinfetta l’aria si blocca improvvisamente. Il ricercatore solleva lo sguardo su Anton che si è alzato e sta aggirando il grande tavolo che li separa. “Se vuole concludere, tra poco l’aria riempirà tutte le stanze e, a quanto dite, non sopravvivrete.” Scritta un’ultima frase, consegnato il foglio. Anton lo avrebbe letto dopo. Spalancata la finestra, salta fuori: i piedi confortati dal calore del terreno, si avviva verso la strada di sassi bianchi. All’interno tutti cercano disperatamente di accedere a stanze senza finestre per rinchiudersi, per proteggersi dall’aria primaverile carica di profumi e canti.
Se avessi saputo prima che sarebbe finita così, ti avrei lasciato libero. Sai cosa intendo con
questo: libero di essere, di esistere al di là di ogni nostro desiderio. Invece…
Invece non era andata così. Anton Borislav ripiegò il foglio e puntò gli occhi grigi, ancora
adombrati da quelle parole rilette per l’ennesima volta, sulla strada di sassi bianchi, unico
accesso alla casa. Rimase dentro l’incertezza solo il tempo di un respiro; esile accento
dell’ultima acuta esitazione. Ma alla fine si alzò. Altro non poteva fare. Non più.

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