la Morte
- arielshimonaedith
- 13 nov 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Mi sono spesso chiesta quanto sarebbe stata orribile la vita senza la morte: sapendomi eterna avrebbe ancora senso vivere per me?
Fossi rimasta giovane, avrei imparato ad amare e lasciare andare?
Non nego che la sensazione di essere probabilmente ben oltre la metà della mia vita, se D-o vorrà darmi tanti anni, a tratti mi riempie di ansia per tutto ciò che avrei voluto fare e ancora non ho fatto o, peggio, per tutto ciò che ho fatto ricavandone la sensazione di non avere fatto ciò che avrei voluto.
Sempre maggiore è il numero dei giorni che terminano dicendomi che il tempo sprecato non tornerà, che nulla potrà restituirmi gli istanti di pura gioia se non una gioia altrettanto intensa che altrettanto rapidamente svanirà. Sempre più sono le persone che ho amato e perso e quelle che amo e temo di perdere dentro la vita o perché la vita finisce.
La ricchezza delle mie ore è quella che sono capace di sentire e allora acuisco i sensi, tutti, e cerco di non perdere neppure un istante sapendo che ne perderò la maggior parte.
La stanchezza giunge sempre prima la sera. Sentire la fatica che resta nei miei muscoli e secca le mie ossa mi fa sentire il piacere d’essere viva. La flessibilità è soltanto volontà e ricerca, non più gesto naturale, la danza non sgorga più dai miei fianchi con energia, eppure non ho perso il piacere di danzare.
Restare ha senso perché morirò, io e tutti gli esseri viventi che mi riempiono di emozione, che mi fanno sentire che ha senso restare e respirare, prestare attenzione ad ognuno di noi mortali, fragili, bellissimi.
Non voglio rinunciare a nulla di tutto questo perché la gioia è assoluta soltanto quando è esattamente un istante e ti accorgi di averla quando già ne hai nostalgia.
Ebbene perché tutto abbia senso mi sono concessa la possibilità di vivere, con intensità estrema, con lentezza ma anche con la velocità feroce del fragore che si produce soltanto quando mi sono trovata in mezzo ad un numero grandissimo di persone tutte intente a godere dello stesso meraviglioso istante.
Non ha senso vivere un poco meno, un poco distanti, smettere di respirare, di brindare, cantare ad un concerto, correre una maratona, abbracciarsi...
Mi rende umana la solitudine del deserto, ma anche il fragore dei passi che si muovono quando parte la gara e sei una ma anche tutti quelli che stanno correndo la stessa gara e ti scopri veloce perché l’energia che produciamo tutti assieme è mille volte più potente della mera somma delle nostre individuali energie.
Sola prego al Kotel ma la mia preghiera è sollevata dalle preghiere di tutte quelle stanno pregando esattamente lì, le preghiere che sono state pregate da tutte le persone che si sono riunite tra loro e con D-o in quel preciso luogo nei millenni.
Nulla siamo se restiamo soli, non veniamo al mondo soli e non moriamo soli.

Sopra uno de
I cucchi in ceramica di Raffaello Bonato "Sorio" che rappresenta molto bene la capacità della nostra tradizione di accogliere con umiltà ma anche con serenità la morte.
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