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Meglio fare invidia che compassione.

Ebbene sì, oggi parliamo dell’invidia, questa passione umana che contiene in sé tutta l’ambiguità dello sguardo che non riconosce, che si ferma sopra, non vuole conoscere. Il termine deriva infatti certamente dal verbo latino videre, vedere, guardare, cui si antepone in-, sopra, ci descrive uno sguardo approssimativo, che non vuole capire ma che semplicemente sfiora l’oggetto o il soggetto osservato, giudicandolo, attraverso questa modalità che è per sua stessa natura ignorante. Sentimento che attiene la relazione tra esseri umani, che suscita in chi, appunto con tanta vacuità guarda e giudica, l’idea di mancare di qualcosa, ma che, nella maggior parte dei casi, non muove un sano desiderio di rivalsa che induce a ricercare attraverso l’impegno, il lavoro, lo sforzo di colmare quella mancanza. L’invidioso ritiene di avere il diritto di possedere o di essere come quello per cui prova invidia, senza fatica, e nel momento in cui si rende conto che così non è e non sarà, allora pronuncia parole di disprezzo, cerca di eliminare l’altro, per non doversi misurare con la propria incapacità. Sentimento antico, se ne parla nella Torah, può infatti descrivere in parte la passione che indusse Caino ad uccidere Abele, se ne occupata successivamente la teologia cristiana inserendolo tra i sette peccati capitali, ne scrive superbamente Dante che con acutezza determina proprio l’impossibilità di distogliere lo sguardo, ma anche di vedere davvero. Perché dunque ragionarne ulteriormente? Perché, a mio parere, l’invidia uccide ancora, tanto quanto, se non più, della gelosia e non soltanto chi la prova ma anche e soprattutto chi la suscita. Noto, con uno stupore che coltivo, perché se lo dovessi perdere significherebbe che non ho più alcuna fiducia nel genere umano, l’aumento esponenziale di comportamenti, discorsi, azioni, spinti dall’invidia, il più delle volte nascosti sotto finto perbenismo e sconfinati nella censura. Assisto, per esempio, al vomitio di molti che, per colpire Trump, insultano Melania, sua moglie, denunciando profonda invidia per un uomo che si accompagna ad una donna così bella e desiderabile; piuttosto che la cattiveria banale che suscita chi si sforza di studiare, conoscere, approfondire in quelli che, invece di confrontarsi con la fatica, preferiscono morire di noia. Niente di male se una persona non ha voglia di fare fatica, se preferisce fare finta che tutto vada bene anziché essere costretta ad agire, purché non distrugga con la sua invidia ciò che altri cercano di costruire. L’invidia sta distruggendo quel poco di bene che ancora gira nel mondo. Non suscita invidia l’influencer o il presidente del consiglio o l’amministratore delegato o il dittatore islamico, loro no, sono potenti, possono creare o distruggere ciò che il pavido indolente ama, ciò che gli consente di restare nella propria inazione. Questi personaggi, essendo vuoti di senso, suscitano ammirazione nell’ignorante (preciso che con questo termine definisco chi non s’interroga e non vuole sapere, non chi è privo di titolo di studio), per la spregiudicatezza con cui esercitano il potere sulle persone, che per l’invidioso sono sempre gli altri, mai lui/lei. L’invidioso prova fastidio e reagisce, anche uccidendo se può, davanti alla persona di successo che mostra di avere doti straordinarie, davanti alla bellezza autentica, all’intelligenza vivace acuta pungente, di fronte all’arte, alla dissidenza agita, al genio ribelle, a chi ha il coraggio di definirsi credente-religioso-praticante genuinamente. Fa invidia tutto ciò che è reale, che richiede impegno, fatica, temperamento, passione. Tutto questo deve essere represso e l’invidioso si unisce volentieri ai potenti perché avvenga: trae soddisfazione dalla distruzione dei resilienti. In questo tempo di pensiero unico, di lapidazioni mediatiche compiute senza neppure un falso processo, di annichilimento della vita attraverso un’inutile detenzione ai domiciliari, di azzeramento e distruzione dell’infanzia e della giovinezza, ciò che davvero può fare la differenza è scegliere di fare invidia, scegliere di essere straordinari in ogni situazione, in ogni momento, in ogni caso. Scegliere di non conformarsi, non avere paura o meglio avere paura ma non lasciare che questa paralizzi o impedisca di stare insieme, di reagire. Lasciare altrove rispetto a sé lo sguardo dell’ignorante, del superficiale, del pigro che confonde l’apparenza con la sostanza. Pretendere d’essere corpo, e come tale abitare liberamente il mondo perché per questo siamo stati creati, non per stare rinchiusi e distanti, invidiosi di chi si ostina a vivere.




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