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Trionferà comunque

  • Immagine del redattore: arielshimonaedith
    arielshimonaedith
  • 8 gen 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Esco da Central Park sula 5th Avenue all’altezza della 79St, mi sono presa un’ora per camminare in questa umida giornata invernale, mi attendono per le 11:30, sono felice di poterli finalmente rincontrare di persona. So quanto questi ultimi anni siano stati difficili, entusiasmanti, certamente ma molto più complicati di quanto si potesse prevedere, ci siamo sentiti spesso ma non ci siamo mai potuti incontrare. Manathan è splendida, spettrale, sofferente ma viva. Il parco mostra le ossa degli alberi, è percorso dagli animaletti che hanno preso rapidamente a moltiplicarsi nel corso di quest’anno di minore presenza umana per le strade. Mi colpisce sempre come la natura riesca ad essere forte nelle città statunitensi, più forte di quanto non sia nelle aree montane della penisola italiana. Sono di fronte alla Sinagoga, mancano poche ore all’ingresso dello Shabbat, non ho ancora deciso se fermarmi qui oppure tornare a casa, Emanu-El è talmente grande che fatico a raccogliermi in preghiera. Mi accorgo d’essere nei pressi dell’abitazione dove sono attesa, per l’affollarsi di persone, mi avevano avvisato, c’è molta sicurezza e sempre qualche disadattato che urla e insulta. Mi avvicino con tranquillità, un uomo altissimo piuttosto elegante mi ferma con discrezione, dico il mio nome e la mia destinazione, lui parla con qualcuno e mi fa cenno di seguirlo. Percepisco la tensione di tutti quelli che si trovano nel raggio di cento metri, mi ferisce e mi restituisce le immagini dei disordini che hanno investito questa città e molte altre nel corso dell’anno passato. La rapidità della mia guida, la lunghezza delle sue gambe, m’impongono di affrettarmi e mi distolgono dalla percezione che mi ha avvolta. Entriamo, subito il caldo ed il silenzio mi avvolgono, mi sento meno minacciata ma comunque assediata. Vengo accompagnata verso l’ascensore che mi condurrà direttamente al loro attico, so di dover ancora affrontare diversi passaggi della sicurezza per questo cerco di prestare attenzione, di non lasciarmi bloccare dalle sensazioni che raccolgo. Sono accolta da un uomo elegante e sorridente, ogni volta l’ingresso della loro casa mi disorienta è come trovarsi fuori dal tempo, nonostante il clima grigio di oggi, qua dentro sembra splendere il sole, sono consapevole che si tratta dell’effetto della scelta dell’arredo e dell’altezza cui è collocato l’attico, ma è così avvolgente. Consegno il mio cappotto e vengo condotta nello studio di Melania, al mio ingresso si alza dalla sedia della scrivania e mi viene incontro. La sua bellezza non può essere compresa guardandone le foto, l’energia del suo portamento elegante, la dolcezza del viso che non perde mai quel velo di riservatezza, la luce degli occhi, siamo amiche da tanti anni, lei sa di me cose che nessun altro conosce ed altrettanto io di lei, abbiamo condiviso gli anni più belli dell’infanzia e della prima adolescenza, siamo legate da un affetto profondo eppure ogni volta che ci incontriamo resto incantata dal suo fascino che aumenta con il passare degli anni. Credo di non averla mai vista in disordine, neppure da bambina, ha una eleganza connaturata e misurata che ho incontrato solo nelle donne di un’altra epoca. Ci abbracciamo, non possiamo farne a meno, per fortuna indossa scarpe basse, i venti centimetri di differenza sono già abbastanza. “Che bello rivederti finalmente, come stai?” Sempre attenta e generosa anche nel tono della voce, quanto poco l’hanno capita e voluta conoscere i media. “Bene, tu? Voi?” Ci accomodiamo sul divano, il suo sguardo emana calma e dolcezza, capisco che sta bene, che sta reagendo alla sua situazione molto meglio di me. “Noi stiamo bene, tra poco Donald ci raggiungerà e ti spiegherà, siamo sereni, abbiamo fatto tutto ciò che potevamo e siamo certi che la maggior parte delle persone lo sanno e sono con noi...” Mi sembra finalmente di poter respirare qui con lei. Stava andando tutto nel migliore dei modi, la riconferma di Donald, nella mia visione, era praticamente certa, nonostante fosse contrastato dalla stampa, dalla maggior parte degli intellettuali, da praticamente tutta la cinematografia statunitense, stava facendo miracoli per il suo paese e per il mondo. Melania ed io ne avevamo parlato spesso, ogni volta che mi capitava di leggere qualcosa che la riguardava (quindi praticamente ogni giorno) avrei voluto prendere a sberle l’autore o l’autrice. Hanno fatto tutto il possibile per rappresentarla come una donna fredda, opportunista, senza principi morali, solo una bella statuina a fianco del ricco palazzinaro, ma lei non è così, non è mai stata interessata al denaro di Donald o invidiosa di Ivanka. Ha avuto successo da giovanissima ma nulla le è stato regalato, ha lavorato duramente ed è stata in grado di mantenersi solida mentalmente e di raggiungere un’ottima posizione economica grazie alla sua forza e determinazione, si è innamorata di Donald, sapeva non sarebbe stato facile essere sua moglie, lui è una forza della natura, lo è sempre stato. Da quando si sono conosciuti e me lo ha presentato, ho capito che il problema non sarebbe stata la solidità della loro unione, ma il giudizio della gente, l’invidia che ha accompagnato ogni passaggio della vita di ognuno di loro sia singolarmente che come coppia. Donald non mi piaceva, prima di conoscerlo, non mi piaceva perché lo vedevo per come veniva rappresentato e perché lui abilmente, ha saputo sfruttare in maniera molto intelligente, il fastidio che generava la raffigurazione di lui, per arrivare oltre e diventare l’ottimo Presidente degli Stati Uniti che ha saputo essere. “Benvenuta, finalmente possiamo, potete rincontrarvi, Melania sa quanto grato sono a lei per tutto ciò cui ha rinunciato in questi anni.” Si avvicina sorridente, ha un modo di essere presente che rassicura e diverte, l’ho compreso conoscendolo nel corso degli anni: Donald è profondamente coerente con ciò che dice, non ha mai paura. Da un lato questo può essere faticoso, spiazzante, stancante per chi gli vive vicino ma ha una tale forza e convinzione, una capacità di lavorare senza riposo per raggiungere gli obbiettivi che si prefigge da essere trainante. Peraltro è uno dei pochi uomini che mi sia capitato d’incontrare capace di cambiare idea, di rivedere le proprie posizioni se ravvisa elementi dei quali non aveva tenuto conto o che non conosceva. “Mi spiace...” Vorrei dire di più ma mi si strige la gola quando penso a tutto quello che è stato montato contro di lui, allo sforzo che ha compiuto per fare tutto il possibile per salvare gli Stati Uniti dal disastro che sarà la presidenza democratica in questo frangente così delicato, si è messo in gioco, senza risparmiarsi, sapendo che qualunque cosa sarebbe accaduta gliel’avrebbero fatta pagare. “Non preoccuparti, sono felice di avere fatto tutto ciò che ho fatto, so che la maggior parte delle persone è con me, ha compreso e, come me, continua ad avere fede nel Signore e nei fondamenti della nostra cultura.” Nella luce dorata di questa stanza la serenità dei loro occhi la forza delle parole mi rasserenano finalmente. “Ho paura che senza te alla presidenza, non ci sarà argine alla repressione ed al controllo che, attraverso la scusa della gestione del virus cinese, si sta esercitando a danno dei popoli.” Gli occhi di Donald si fanno attenti, vedo la sofferenza e lo sconcerto, lo stesso che ho colto nel suo viso ripreso per il messaggio che ha diffuso dopo i fatti del Campidoglio. “Sapevamo che pensare liberamente e criticamente, agire con coerenza, parlare con la gente senza il benestare delle strutture di potere e controllo, avrebbe scatenato, scatena e scatenerà la repressione. Mi spiace che quei delinquenti si siano infiltrati in mezzo alle brave persone, ai patrioti, che abbiano strumentalizzato una protesta legittima e pacifica per distruggere me. Speravo davvero non accadesse, questo mi ha ferito profondamente perché io sapevo cosa stavo rischiando e non avrei mai strumentalizzato la protesta in questo modo.” Nel silenzio si avvicina una donna, credo sia dello staff di Donald, lui si alza per pararle con lei, il viso attento nell’ascolto. “Grazie, arrivo tra poco” I tratti sono distesi, è davvero sereno, per qualche istante guarda fuori dalla finestra, il cielo, Manhattan... “Non è finita finché non decidiamo di rinunciare. Essere il Presidente degli Stati Uniti per me è stato un onore, ho servito il mio paese e sono certo che ci siano moltissime persone capaci di fare la differenza. Capaci di lottare per la libertà e per la felicità.” Donald ci saluta “Il lavoro mi chiama” Forse ci rincontreremo per la cena, Melania mi sta chiedendo di restare da loro per lo Shabbat e lui, mentre le sfiora la guancia con un bacio per salutarla, si dice lieto della possibilità. Credo che accetterò, ho bisogno della fiducia e della serenità che sento esserci in loro, per me il miglior modo per accogliere questo giorno di riposo e di preghiera così prezioso.






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