top of page
  • Immagine del redattorearielshimonaedith

Un gioco da ragazzi di Enrico Ruggeri

Ho letto con piacere il libro “Un gioco da ragazzi” di Enrico Ruggeri, ho riconosciuto Milano, quella che ho amato, quella che mi ha insegnato la parte più nuda dell’umanità: spaventata, disperata ma anche solidale, viva, desiderosa di rendere il mondo un luogo migliore. Sono nata mentre le vicende narrate nel libro erano in corso quindi non le ho vissute tutte direttamente, ho vissuto negli anni che ancora trattenevano l’eco delle proteste, delle rivolte, delle occupazioni ed anche del terrorismo. Non posso riconoscermi in nessuno dei protagonisti, ma riesco ad osservarli con partecipazione piena perché riconosco nelle vicende, nei luoghi, nell’atmosfera ciò che ha pervaso gli anni della mia infanzia e giovinezza; riscopro il modo con il quale le vicende hanno attraversato le famiglie, quelle di chi ha assunto un ruolo ma anche quelle dei moltissimi che, presi dalla vita, pur stando solo a guardare portavano con sé la paura ma anche la speranza che ha contraddistinto quei decenni. Ho apprezzato la chiarezza del punto di vista dell’autore che non è privo di giudizio, avendo vissuto quegli anni ha compiuto in essi le proprie scelte e, divenendo il grande artista che è, ha saputo dare forza alla rivoluzione con la sua musica. Erano anni in cui, secondo me, la rivoluzione era in corso ed avrebbe potuto generare molto. Purtroppo invece, le scelte compiute dalla maggior parte dei “rivoluzionari” hanno costruito la base per ciò che è ora; traspare quindi, attraverso il racconto delle vicende dei protagonisti, come molti di quelli che allora si definivano “rivoluzionari” abbiano, prendendo il potere, distrutto ogni tensione ideale, ogni differenza, ogni dissenso, ogni opinione che non fosse la loro, rendendo il pensiero unico imperante nutrimento per la dittatura cui ora assistiamo. Viene dipinta, con grande affetto dall’autore, un’italia che ancora non mostra completamente la propria inconsistenza e vacuità, l’eco della ferocia del ventennio fascista è attutito dalla narrazione di una forma di nostalgia che ci mostra come sia simile alla passione che ha guidato (ed evidentemente tutt’ora guida) coloro i quali si credevano sul versante opposto. Le dinamiche, che hanno pervaso il movimento che allora agitava il mondo giovanile in occidente, sono qui fotografate nella peculiarità italiana e quello che mi rimane è la sensazione di un’ingenuità che non può comunque essere giustificata perché ha portato con sé non solo la ferocia della morte del terrorismo ma anche il vuoto di idee, energia, arte, musica, vita che contraddistingue la contemporaneità italiana. Se posso ancora riconoscere ed apprezzare l’arte prodotta fino a vent’anni fa, altrettanto il vuoto attuale mi mostra l’assenza di anima di un paese che non ha mai avuto senso di essere. Il pregio della narrativa, e qui riconosco l’artista nello scrittore, è quello di mostrare, di indurci a riflettere, emozionare anche reagire a volte, e questo libro per me riesce a fare tutte queste cose. Con un senso di nostalgia per la me stessa che ha attraversato una parte degli anni narrati, per quello che pensavo fossero, per quella Milano nella quale sono nata e che ho molto amato, pur consapevole del fatto che non sia probabilmente il pensiero dell’autore, mi rimane la consapevolezza del fatto che l’italia sia come un brodo, nato già di pessima qualità a causa dello scarto delle parti migliori, che è stato allungato talmente tanto da sembrare sciacquatura di piatti sporchi e non essere più neppure utile a dissetare come farebbe l’acqua, sia quindi soltanto da buttare via.



37 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page