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C'è libertà nella casa del Signore


Ci sono molte indicazioni nel capitolo 21 di Esodo che spesso vengono utilizzate strumentalmente per legittimare comportamenti scorretti: uno dei passaggi più noti e meno compresi è quello del versetto 24​ “occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede,​ ”​ che è stato usato, sia in epoca antica che recente, per legittimare la vendetta. Ebbene chiunque conosca la Torah, la Bibbia, sa che in questo verso viene data un’indicazione a chi deve giudicare le dispute tra chi subisce un’aggressione o un danno e chi lo procura, ed è quindi chiamato a disporre che il risarcimento sia congruo rispetto al danno subito. Si tratta di indicazioni date ad una nazione nascente, ad una struttura di tribunali che deve determinarsi proprio perché non venga legittimata la vendetta personale. Esiste, in relazione all'errata interpretazione, qualcuno che, altrettanto impropriamente, contrappone a queste indicazioni il famoso passaggio di Matteo 5,39 “a chi ti percuote [...], porgi l’altra guancia” fingendo che Gesù non stesse dicendo ai propri correligionari: la Torah non legittima la vendetta personale, chiama i tribunali all’equità, pertanto tu non cercare la vendetta, lascia che agiscano i tribunali; a questo Paolo in Romani 12,19 aggiunge l’invito a lasciare al Signore il compimento del giudizio finale.​ Ciò che però deve essere compreso è che, sia Gesù che Paolo, erano ebrei ed agivano in conformità alla Torah del Signore, non contro. Pertanto non si possono utilizzare per legittimare un pacifismo ed​ un'arrendevolezza​ che non furono praticati neppure da loro: non possiamo dimenticare come Gesù reagì e protestò al maltrattamento subito nella casa di Caifa (Giovanni 18, 22-23), il fatto di sapere di essere destinato alla crocifissione non gli tolse la determinazione a rivendicare la giustizia, altrettanto fece Paolo con Anania (Atti 23, 2-3). Ho fatto questa lunga premessa perché esiste una compenetrazione ed un’essenza che guida il nostro pensiero in quanto figli della tradizione ebraico-cristiana, ed è la certezza, che ci viene proprio dalla Torah di dover rivendicare tribunali, governi, leggi, giuste ed eque delle quali una società umana organizzata non può fare a meno. Altrettanto, individualmente dobbiamo riconoscere la necessità cui risponde l’invito a porgere l’altra guancia: l’opportunità di essere redenti, non farsi consumare, non ammalarsi, non morire, intrinseca alla scelta di perdonare il prossimo, come appunto la Torah, la Bibbia, ci comanda di fare (Esodo 23, 4-5 Levitico 19,18). I credenti sanno quanto sia potente il perdono dell’altro, avendo conosciuto la forza salvifica che deriva dal ricevere il perdono. Ma anche chi non crede sa che il risentimento, la rabbia, la paura che derivano dal non superamento di un abuso o di un'aggressione, possono fare ammalare ed anche morire. Perché la paura, la contrapposizione, il risentimento, la violenza che tutto ciò che sta accadendo​ oggi​ sta portando nella nostra vita individuale ma soprattutto collettiva, non prevalgano ma vengano fermate, è necessario che venga pretesa giustizia da chi sta subendo danni personali, fisici, economici. Anche dalla collettività che sta subendo misure restrittive delle libertà fondamentali, misure divisive, misure “sanitarie” che violano i dettami dei più importanti accordi internazionali relativi alla sperimentazione sull’essere umana devono esigere che venga fatta giustizia. Tutto questo richiamandoci ad un principio di solidarietà che, pur nell’auspicio del perdono individualmente scelto, non sottrae nessuno dalla necessaria rivendicare la punizione contro chi produce sopruso e abuso. Chi oggi sta, al fine di difendere un bene più grande, non solo personale ma collettivo, come è quello di non sottoporsi alla somministrazione obbligatoria di un farmaco sperimentale, rinunciando al proprio stipendio, al proprio lavoro e quindi alla propria posizione sociale, merita non solo rispetto ma soprattutto sostegno e solidarietà da parte di tutti i credenti. Solidarietà e sostegno da parte di tutte le persone che si riconoscono nei valori etici ebraico-cristiani, fondativi della nostra società, anche se ha scelto di sottoporsi alla sperimentazione farmacologica in atto. Chi invece invita all’esclusione, all’estromissione, all’allontanamento e con violenza incita a comportamenti aggressivi, feroci e repressivi nei confronti di chi non la pensa come lui, merita di essere giudicato per questo, magai perdonato individualmente da chi ne subisce i danni, ma certamente giudicato in un equo tribunale. Non lasciamo che la paura di una malattia, per la quale esistono cure efficaci, ci faccia accettare misure repressive che pensiamo stiano colpendo solo altre persone, altre priorità, i figli degli altri, il lavoro degli altri. La mia speranza è che diventiamo un corpo unico, un corpo che non agisce per paura condannandosi a morire, non per un virus ma per la propria stessa debolezza, un corpo di credenti che ripone fede nel Signore e nella consapevolezza che sempre il Suo popolo non solo ha resistito alla tirannia ma si è ribellato moltiplicandosi come ci ricorda Esodo 1, 12 “Ma quanto più lo opprimevano, tanto più il popolo si moltiplicava e si estendeva; e gli Egiziani nutrirono avversione per i figli d'Israele. Abbiamo già vinto, Lui ha già vinto per noi, non sottraiamoci alla nostra parte. Non abbandoniamo chi è in difficoltà!



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